All’interno di una foresta si è completamente avvolti dagli elementi. Si può solo ascoltare il rumore assordante, che rimbomba nelle orecchie, delle grosse cicale fischiare. Un suono che accompagna tutto il giorno, insieme a quello del vento che soffia in mezzo alle grandi foglie di alberi secolari, il sordo soffio delle ali del bucero (hornbill) che ogni tanto passa sopra le proprie teste. Durante questo cammino, lento, all’interno della foresta primaria, ritorna in mente un saggio indiano Cree.
“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto
l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato
vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.”
In merito, si spera mai, “ultimo albero”, si è concluso pochi giorni fa il Tropical Landscapes Summit a Giacarta, in Indonesia. Secondo una stima del Wwf nei prossimi 20 anni potranno andare persi 170 milioni di ettari di foreste, per renderci conto stiamo parlando di un area grande come Germania, Spagna, Francia e Portogallo messi insieme. Se la situazione non cambierà entro il 2050 la perdita sarà di 230 milioni di ettari. Entro il 2020, se la deforestazione non sarà ridotta a “0″ si potra incorrere a cambiamenti climatici imprevedibili che causeranno ingenti perdite economiche in tutto il mondo.
Il “Living Forest Report: Saving Forest at Risk” segnala che 11 foreste al mondo di cui 10 ai tropici sono a rischio. Tra queste rientra anche la rain forest del Borneo, una delle foreste con la più ricca biodiversità del pianeta, habitat di molte specie uniche come l’orango e ambiente di vitale importanza anche per le comunità indigene come i Dayak.
La perdita di foresta a causa della deforestazione in Kalimantan non è stata documentata in maniera esaustiva, i primi numeri sullo stato della foresta indonesiana del Borneo sono stati pubblicati dal Center of International Forestry Research. Risulta che negli ultimi 40 anni il Borneo ha perso il 30% delle sue foreste.
Si può toccare con mano quanto rilevato dal report, per raggiungere la foresta primaria dell’East Kalimantan, occorrono ore di battello o fuoristrada, quasi sempre attraversando centinaia di chilometri di aree disboscate sfruttate da agricoltura intensiva, specie Palma da olio, miniere e strade. Aree che fino a 40 anni fa erano territorio inesplorato, una ambiente ancora intatto e casa per le tribù locali.